STATUS MENTALE: SCIALLA, per un equilibrio leggero.

scialla

Spesso mi preoccupo per cose inutili e se non mi preoccupo, mi incazzo per cose inutili: per un principio che neppure m’ appartiene, oppure per un fantasioso ed articolato pensiero mentale, originato da me e  mai sviluppatosi  o resosi manifesto.  Spesso mi preoccupo dei miei mostri, insomma, ed ho imparato ultimamente prima a renderli presentabili e poi ad annientarli. Come? Minimizzando ogni cosa e  semplificando. Il vortice ansia, si può distruggere, perché non riceveremo mai nessuna medaglia al valore per l’ansia profusa e neanche un ruolo da Super Eroe / Eroina per esserci presi carico di drammi che neppure ci appartengono. Perché per un dipendente cronico da ansia, le proprie preoccupazioni, già catastrofiche, si associano anche a quelle dell’ambiente  e delle persone che ci circondano, senza che queste ne siano poi consapevoli.  Risultato? Se soffri d’ansia, lo sai bene che vuol dire. E pure se hai una mente che lavora troppo, in modo sbagliato: “il mio problema è che penso troppo”, questo è la frase tipica da tossico d’ansia.

Ora la questione è: ma se ne esce, ti abbandona prima o poi quest’ansia che ti tira il viso, lo stomaco e che ti stringe il petto? Sì, l’ansia va via, se entri nello status mentale “SCIALLA”.

Non sei soddisfatta? La tua vita sentimentale ha un equilibrio più precario del tuo lavoro?  C’è sempre quel “qualcosa che non…. E che se…” ? Dovresti costruire il tuo futuro e se riesci a programmare un week end, ti sembra di aver risolto  la questione della fame nel mondo? Oppure: il mondo non risponde come dovrebbe ai tuoi progetti, alle tue organizzazioni? Sì, proprio in questi casi devi  appropriarti dello status SCIALLA.

Quando sta per partire il flusso di lamentele, quando senti che una serie di domande fuori luogo stanno per uscire dal letto del fiume dei tuoi pensieri, rispondi a te stessa: “ E SCIALLA SU…. (anche con un po’ di  teatrale scocciatura, mi raccomando!)” . Mettendo  in lotta i tuoi emisferi, quello psicotico e quello parzialmente sano  riesci ad avere un equilibrio leggero. Chiaro è che SCIALLA rappresenta l’apice di un lavoro più profondo, volto a sdrammatizzare in primis se stessi.  Le cose non vanno bene? Ma cosa sono queste cose? E sono importanti, veramente? Molto spesso, la risposta è NO.  La leggerezza  a volte è profondità, questo l’ho capito bene. Sminuzzare un evento, analizzarlo, ricercarne la verità nel profondo, è solo spendere energie che possono essere utilizzate per altro.

Scialla, è stai sereno,  per quello che hai oggi e per quello che verrà domani. E’ sorridere un po’ di più e ricordarsi che intorno a noi, persi nelle nostre faccende, nel nostro egoismo , scorre una vita piena e pulsante, che perdiamo, intenti ad osservarci.  E’ ricordare di guardare un po’ più il là del nostro spazio vitale, circoscritto da un alone livido viola, scoprire e scoprirsi attraverso le persone.  E’ andare oltre la fortezza di regole e principi, capire e capirsi.

Scialla, non è un posto per la santità. E’ che questo è un mondo complesso, fatto di persone più ancorate che libere e le catene fanno male, al cuore e alle braccia. E il male si dà e si riceve, anche senza senso. Perciò scialla è và via, dalla negatività di chi porta le catene e da chi vorrebbe fartele indossare…Tu vola in alto, te lo Devi!

la mia bimba un po’ meno sperduta nell’isola che ci sarà

“Quanti anni hai? 29, quasi 30 e l’idea mi fa schifo”.

Correva l’anno 2001 quando Gabriele Muccino ci regalava attraverso “L’ultimo Bacio” questa visione esasperata e nevrotica della sindrome di Peter Pan che colpisce molti, ma con qualcuno forse s’accanisce di brutto. Non scriverò degli effetti che questa sindrome determina nelle relazioni; per questa volta le questioni di cuore, le lascio altrove. Né andrò ad analizzare clinicamente chi è l’eterno Peter Pan e cosa fa, perché lo sappiamo bene tutti, purtroppo. Ma questa battuta, che era stata sempre e solo una battuta, ora la sento in qualche modo vicina.

Nella favola di Peter Pan, tutto ha inizio dalla dichiarazione del padre di Wendy che intima la figlia ad allontanarsi dai suoi fratelli minori, Gianni e Michele. Wendy è troppo grande per poter giocare ancora con i bambini. Per effetto contrario, la sera stessa tutti imparano a volare per opera di Peter Pan e di Trilly e volano felici verso l’ isola che non c’è. Il resto della storia la conosciamo.

Wendy, Gianni, Michele, Peter, nessuno vuole crescere e piegarsi ai doveri che una persona adulta o quasi deve affrontare. Questo è quello che ho sempre pensato guardando il film. Eccomi Wendy e compagnia, ovunque sia l’isola che non c’è, io sono lì con voi.

Solo che qui non c’è nessuno che ti bussa alla finestra per farti volare. Qui se bussano, lo fanno alla porta e magari per venderti un contratto per luce e gas e devi essere pure scaltra per non farti fregare. E non c’è nessuno che ti insegna a volare, ti scaraventano fuori dalla porta con un bel calcio e senza troppi ossequi. Perché questa, dicono, è la vita, che o la vivi o la subisci.

Dopo aver trascorso gli anni giusti da “bimba sperduta” con una voglia incredibile di andare avanti, credendo che fossero solo anni transitori e di poco conto, adesso transito tra la nostalgia e il vuoto; vorrei che il tempo non fosse così severo e veloce nel suo trascorrere, nel farmi ricordare quanto questi dieci anni trascorsi, siano stati colmi di vittorie e cicatrici. Non si tratta della presa di coscienza dei mutamenti estetici, della pelle che non risponde come dieci anni fa o dei primi capelli bianchi che spuntano all’orizzonte, oppure della necessità di mantenersi in forma, quando prima mantenendo la sola posizione supina, ci si tonificava senza sforzi. Questi, sono processi naturali che con un po’ di attenzione, possono essere gestiti. Io parlo della nostalgia di una freschezza che sai non potrà più appartenerti, perché sarà presa da altre emozioni, più forti, ma diverse. Una freschezza mai sentita allora, ma che ora percepisco più che mai, ricordandomi che posso toccarla solo per consapevolezza acquisita di un passato che non torna.

Me ne sono accorta un giorno non lontano, quando, entrata in un negozio di abbigliamento da teen ager, mi sono resa conto che quei vestiti, che avrei voluto, in realtà non erano più adatti a me. Soprattutto quando la clientela non supera i diciannove anni ed è accompagnata da mamme che acconsentono agli acquisti sfoderando la loro Mastercard in cassa. Ti senti adulta e invidi la loro gioia di comprare la borsa per la scuola o la felpa per quando rinfrescherà la mattina. Oppure te ne accorgi quando per strada vedi il fervore dei liceali che si rivedono dopo le vacanze estive e ti accorgi che ti guardano curiosi come se fossi una di loro, ma tu sai perfettamente che non è così , è che la tua immagine, mente spudoratamente. Li ho invidiati, li ho fottutamente invidiati tutti per quei dieci anni che ci dividono, per l’emozione delle loro prime volte, che io ho divorato pensando che fossero cose di poco conto e di passaggio, perché la vita è altrove. Li ho invidiati perché hanno un eternità ancora per pensare al lavoro, ai contratti mediocri che dovranno sottoscrivere ed accettare come oro colato, all’amore che stenta a decollare o che proprio non decolla, ad una casa propria che vorresti e  che non puoi permetterti, ad una famiglia da costruire, perché il tempo corre, lo sai. Loro, i bimbi sperduti. Che forse non sono così sperduti come credo. Che magari hanno le mie stesse paure di allora o che forse sono forti dei loro sogni, perché hanno imparato a credere, sul serio.

Ho ritrovato la mia bambina sperduta, persa tra i macigni di pensieri passati e sbagliati. Ha superato tutto e tutti, mi siede accanto per ricordarmi giorno dopo giorno che per volare sul serio, bisogna sentirsi leggeri.

E allora volo, un po’ meno sperduta del solito, verso questo semplice domani.